La pesca di Cabras in prima pagina sul Christian Science Monitor

Trae spunto dai pescatori di Cabras per parlare dello stato di salute del Mediterraneo il dossier del quotidiano di Boston “The Christian Science Monitor” dal titolo “On emptier seas, a vanishing life”. Gianni Pisanu è la figura centrale intorno a cui ruota l’articolo.

prima pag. CSMonitor di Boston.jpg

http://www.csmonitor.com/2008/0116/p01s01-woeu.html

 I MARI SI SVUOTANO, UNO STILE DI VITA SCOMPARE
La pesca eccessiva nel Mediterraneo sta minacciando i pescatori artigianali e mettendo a rischio più di 100 specie marine.
Di Nicole Itano, Corrispondente di The Christian Science Monitor
16 gennaio 2008

CABRAS, ITALIA – Sette ore dopo essere usciti nel mare color inchiostro delle 3 del mattino, i due uomini della barca “Crazy Horse” rientrano in porto con i frutti del loro lavoro mattutino: appena un paio di piccoli secchi di pesce, per un valore di circa 40€. 
“È la media attuale”, sospira Gianni Pisanu, la cui barca è ancorata accanto, mentre aiuta i suoi compagni. “Il mare è impoverito, ormai”. 
Per più di 50 anni la ventina di nazioni che costeggiano il Mediterraneo hanno lottato per gestire insieme e condividere l’abbondanza di un mare la cui unicità rende questa crisi insolitamente difficile oltre che estremamente importante.
Ma i loro sforzi si sono arenati spesso fra le politiche conflittuali e gli interessi economici di questa variegata area che contiene di tutto, dalle flotte italiane fortemente sovvenzionate – una delle flotte maggiori con più di 14mila imbarcazioni – alle migliaia di pescatori del Marocco che pescano per sopravvivere.
Tuttavia i benefici della preservazione sono molteplici in questo ecosistema marino, la cui quota di biodiversità globale è otto volte maggiore rispetto alle sue dimensioni. Ora questa diversità è minacciata. Secondo le Nazioni Unite, l’85% delle specie del Mediterraneo vengono già pescate oltre i livelli sostenibili. Qualcuna è prossima all’estinzione commerciale.

La traduzione dell’articolo continua nei commenti…

Peschiera Cabras.jpg  Ultima Foto (vedi didascalia a fine articolo).jpg

I piccoli pescatori lottano per sopravvivere a causa della diminuzione della fauna marina: intanto cambiano fonte di introito. A Cabras, il Nuovo Consorzio Cooperative Pontis vende bottariga da pesci d’allevamento, tecnica che risale al XV secolo.

Questa voce è stata pubblicata in diario dei pensieri sparsi e taggata come , . Aggiungi ai segnalibri il permalink.

3 Responses to La pesca di Cabras in prima pagina sul Christian Science Monitor

  1. paolo dicono:

    Anche altre specie quali tartarughe, delfini e squali, spesso catturate accidentalmente nelle reti dei pescatori, sono sulla strada dell’estinzione. Un recente rapporto dell’Unione per la Conservazione del Pianeta, organismo che monitora le specie a rischio, rileva che il 42% delle 71 specie di squali e razze sono minacciate o danneggiate a livello mondiale. La pesca è la minaccia più seria, rileva il rapporto.
    Mentre i suoi amici sfilano l’ultimo pesce dalle reti, Pisanu guarda un grande imbarcazione con un apparato metallico gigante a poppa che romba in mare. “Un peschereccio a strascico” spiega, descrivendo il tipo di barca arrivato due decenni fa, che trascina reti con pesi. “Prima dell’avvento dello strascico la pesca sarebbe stata più grande dell’80%”
    Oggi nel Mediterraneo si pesca il doppio che nel 1950. Il Mediterraneo da solo non può fornire abbastanza pesce da soddisfare la domanda locale. Gli europei del sud mangiano significativamente più pesce della media mondiale che è di 16 kg. annui pro capite. Gli spagnoli ne consumano 41 all’anno, mentre italiani francesi e greci, mangiano almeno 20, molti dei quali importati. Sebbene la pesca sia scesa dai picchi di metà degli anni ’80, il fatto che i pescatori facciano grande fatica per prendere meno pesce indica che il patrimonio peschiero è sovrasfruttato. Qui lo strascico è stato individuato come il tipo di pesca maggiormente distruttivo.
    “Il problema fondamentale è che il mare non viene gestito con l’obiettivo della conservazione o con la gestione razionale delle risorse, ma perlopiù nell’interesse a breve termine di quei pochi pescatori che prendono più che possono” dice Alessandro Gianni, responsabile della campagna Mare di Greenpeace, cui Pisanu si è rivolto per chiedere aiuto. “Quello più economicamente redditizio spinge via il piccolo pescatore artigianale.”
    Gianni Usai, direttore regionale di Legapesca, la maggiore cooperativa locale di pescatori di Cabras, era uno dei primi del luogo a riconoscere che c’era un problema. Vent’anni fa ha cominciato a notare che la pesca delle aragoste era in declino, dalle 10 tonnellate annue di metà degli anni ’80 alle 3 – 4 tonnellate dei primi anni ’90. Oggi, i pescatori locali riescono a farne meno di mezza tonnellata. Ma per anni i suoi allarmi sono stati ignorati.
    “Quando c’è un incendio nei boschi tutti si preoccupano e vanno a spegnerlo. In mare è come se ci fosse sempre un incendio ma nessuno fa niente” dice Usai.

    UNA SOLUZIONE: I PARCHI MARINI
    Una soluzione alla pesca eccessiva, presa in considerazione dai gruppi ambientalisti e perfino dai gruppi di pescatori come Legapesca, è la creazione dei parchi marini. Un progetto pilota presso Cabras per creare un’area protetta per aragoste d’allevamento ha avuto un qualche successo, secondo Usai
    Ma mentre c’è accordo generale che la pesca nel Mediterraneo debba essere ridotta, i tentativi in tal senso hanno scoppiettato nel peculiare ambiente biologico e politico della regione.
    In parte per la ricca biodiversità del mare, la grande maggioranza della pesca qui non si indirizza verso specie particolari. Ad eccezione di poche barche che si concentrano su pesci di alto valore come i tonni pinna blu e pesci spada, la maggior parte dei pescatori raccoglie ciò che alle loro reti capita di prendere. Questo rende le tecniche di preservazione usate altrove, come le quote di pescato, largamente inefficaci.
    E con 21 paesi, più i territori palestinesi, che costeggiano il mare e se ne dividono le risorse, gli accordi politici sono duri da raggiungere. “La cosa particolare circa il Mediterraneo è che la maggior parte delle acque sono internazionali” dice Susanna St. Trappa, esperta di pesca del WWF. “Ogni soluzione deve maturare consensualmente, e raggiungere il consenso di 21 paesi è una sfida davvero dura.”

    SFORZI INTERNAZIONALI PER RIDURRE LA PESCA ECCESSIVA
    La Commissione generale sulla pesca per il Mediterraneo, istituita presso le Nazioni Unite, serve da forum per la cooperazione sui temi della pesca. I gruppi ambientalisti le hanno dato credito divenendo sempre più determinati negli scorsi anni circa gli accordi di mediazione: come la messa al bando del 2005 dei pescherecci a strascico nelle acque più profonde di 1000 metri. In aggiunta a ciò, l’Unione Europea ora mette al bando la pratica vicino alle spiagge in acque meno profonde di 50 metri.
    E c’è un consenso generale su quale sia la radice del problema: la troppa capacità di pesca. Benché esistano accesi dibattiti su come misurarla, la Ue stima che la sua capacità di pesca in tutte le sue acque, incluso il Mediterraneo, sia del 40% superiore a quanto sostenibile.
    Ma i tentativi di ridurre la capacità di pesca sono falliti, o in qualche caso si sono rivelati controproducenti. Sulle coste settentrionali del Mediterraneo – ci sono pochi dati circa il sud – il numero totale delle imbarcazioni che pescano è diminuito. Ma i gruppi ambientalisti sostengono che i sussidi della Ue intesi per aiutare i pescatori ad ammodernare le loro flotte ha permesso a molti di passare dalle piccole barche, come la Nina di 10 metri che Gianni Pisanu ha ereditato dal padre, a più grandi, e più dannose per l’ambiente. A Cabras, per esempio, le organizzazioni locali di pesca dicono che i sussidi hanno aiutato i pescatori ad acquistare molti dei disastrosamente efficienti pescherecci a strascico che operano qui.
    In Italia – che ha la più grande industria di pesca del Mediterraneo – gli strascichi costituiscono solo una piccola parte della flotta dei pescherecci, ma gravano per più di metà del pescato.
    Ma la pesca a strascico dissoda il fondo del mare, distruggendo l’habitat vitale per molti dei pesci di fondale ed è fra le forme di pesca che genera maggior spreco. Benché le stime varino molto, fino al 70% del pesce pescato dagli strascichi viene gettato via perché del tipo sbagliato.
    Legalmente gli strascichi non dovrebbero pescare nelle stesse acque di Pisanu. I pescatori artigianali ancora possiedono ed operano con due terzi delle barche totali nella regione ma sono rapidamente scalzati da imbarcazioni più grandi e tecnologicamente più avanzate.
    Secondo Usai la legalità è difficile perché solo pochi pescatori, anche quelli più coscienziosi da un punto di vista ambientale, sono rispettosi fino in fondo delle leggi in vigore. È difficile, ammette, chiedere alle autorità di applicare le regole solo contro le grandi barche. Ma se le cose non cambiano, per i piccoli pescatori come Pisanu la vita in mare sarà minacciata. “È la mia passione” dice. “Ma davvero non lo so se potrò pescare nei prossimi vent’anni”.

  2. andrea dicono:

    veramente interessante
    grazie
    andrea

  3. Pingback: Paolo Maccioni » Humboldt, Galeano, l’America Latina e la Sardegna

I commenti sono stati chiusi.