Assessori o fenicotteri? …meglio i secondi!

fenicotteri030 www.giuliaottonello.it.jpg da www.giuliaottonello.it

Molti – anche non sardi – sapranno che le aree umide intorno a Cagliari pullulano di fenicotteri. “Is mangonis”, come si dice da queste parti, o anche “sa genti arrùbia” = “il popolo rosso” (o rosa), che qualcuno oggi vorrebbe sfrattare o spostare un po’ più in là, per la nobile motivazione che “i fenicotteri non hanno mai portato un euro nelle casse del Comune”. Ne parlano in questi giorni tutti i quotidiani e notiziari sardi.
Ecco cosa dice l’assessore comunale al Patrimonio, Gianni Chessa (ancora Udc o non più?), “disposto a sacrificare una fetta delle Saline per fare spazio a una catena di centri ricettivo-alberghieri” (come scrive Matteo Bordiga): «So bene che con queste proposte mi attiro le antipatie degli ambientalisti. Ma gli ambientalisti, alla fine, cosa producono? Si siedono su un prato, mangiano un panino e se ne vanno. E i posti di lavoro per i sardi disoccupati? E i progetti per una Cagliari più affascinante e attraente? Non pretendo che l’idea delle strutture ricettive a ridosso delle Saline venga accolta da tutti con un’ovazione: non sono portatore di nessuna verità rivelata», conclude l’assessore, «ma auspico semplicemente che se ne discuta. Con coraggio e con determinazione, una volta tanto, perché in tanti la pensano come me ma stanno zitti».
Leggi al proposito “Una fetta di saline per l’assessore. Fenicottero, fatti più in là C’è qualche albergo da sistemare” di Matteo Bordiga su L’Altra Voce http://www.altravoce.net/2007/07/31/saline.html

fenic_060429_003b Fonte Sarda.jpg da www.fontesarda.it

Leggi pure “Città del sole oppure colpo di sole? «Meglio non sottovalutare le idee del centrodestra sul Poetto»” di Ninni Depau, consigliere de L’Ulivo al Comune di Cagliari su http://www.altravoce.net/2007/07/31/fenicotteri.html

vedi pure: “L’assessore di lotta e di governo che vuole sfrattare i fenicotteri” di Claudio Cugusi, consigliere comunale di Cagliari con il Prc – Sinistra europea, su http://www.claudiocugusi.it/pagine/articoli_dettaglio.asp?ID=2624

vedi pure il “COMUNICATO STAMPA in risposta alle dichiarazioni a mezzo stampa dell’assessore al Patrimonio, sig. Gianni Chessa” su http://nuke.alessandroserra.it/ …Serra è presidente del gruppo consiliare di AN e giudica l’idea di Chessa “aberrante”

…Insomma la consapevolezza che le parole di Gianni Chessa siano fuori dalla umana ragionevolezza non ha colore politico, per fortuna!

…a proposito del fatto che Gianni Chessa non sia isolato, come allarma Ninni Depau, e che le sue aberrazioni siano condivise da altri, chi vuole può leggere cliccando qui sotto su Comments il racconto “Un’indagine stagnante”, che fu il mio contributo all’antologia collettiva Nerocagliari, fortunato volume uscito in primavera… http://www.circolodeilettori.it/modules.php?name=News&file=article&sid=84 

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One Response to Assessori o fenicotteri? …meglio i secondi!

  1. paolo dicono:

    INDAGINE STAGNANTE
    A Gigi,
    che avrebbe gradito.

    «Ma perché, Demurtas, forse qualcuno fra quei signori, è vero, ha a cuore il destino dello stagno di Molentargius?» chiede con voce liquida il Professore. Resta con la mano interrogativa chiusa a pigna verso il petto, quasi a voler prolungare l’incredulità per quella domanda retorica, ma in realtà i movimenti del Professore sono lenti, i riflessi pazienti, i gesti ponderati nel teatro involontario della tarda età. Alle sue spalle uno scaffale a tutta parete stracarico di libri dai quali sbucano foglietti e segnapagina; molti volumi sono allineati in verticale, altri impilati in orizzontale sopra le file più basse, a riempire tutti i recessi possibili. Una sterminata moltitudine di pagine, parole, storie, sogni, dottrine, teorie e confutazioni che paiono dialogare e tramare fra loro a sostenere l’autorevolezza del Professore. Accanto alla scrivania, sul lato cieco, un archivio metallico a cartelle sospese che sembra provenire da un’esattoria degli anni Cinquanta. È da lì che il Professore sfila una cartella di ritagli di giornale.
    «Fintanto che gli amministratori, è vero, diranno queste cose…» prosegue il Professore spulciando fra gli articoli, «vediamo un po’… ecco qua: “Lo schieramento mmm… …eccetera… …in campagna elettorale… …ampie garanzie sul risanamento di Medau su Cramu, quartiere abusivo sul parco. Ecco perché l’accordo… tarda ad arrivare: perché quella promessa non la possono mantenere”. Poi, quest’altro genio qua, Dodo Campagna, senta un po’: “…la sua posizione è agli atti… lui a Molentargius avrebbe costruito alberghi, avrebbe sanato gli abusi di Medau su Cramu e realizzato attività produttive. “Con il blocco totale non si ottiene nulla”, ha sempre detto. Forse lo pensano anche altri…” figuriamoci» commenta il Professore affacciando lo sguardo malizioso sopra gli occhiali «stesso manipolo, stessa squadra… “ma ieri tutti hanno detto sì. Come Duilio Mosca, che ha detto: “Non saranno quattro fenicotteri a portare benefici economici, un giorno ci pentiremo di aver vincolato un parco la cui nascita sarà un carrozzone politico e niente di più”. Capito? Questi sono gli elementi! Devo continuare?»
    Eugenio sta per dire no, non c’è bisogno di continuare, il quadro è chiaro, a parte che molte di queste cose sono le stesse che ho scritto io, pensa, i virgolettati in aula finiscono sempre su tutti i giornali. Ma il Professore non attende la risposta e riprende:
    «Allora… ecco quest’altro campione che ammonisce: “Bisogna avere rispetto per gli ottocento residenti”… Ipocrita, rispetto dice, ricerca di voti si chiama. E non contento deride coloro che “pensano che con dieci visitatori all’anno, cioè ventotto al giorno, ci sarà sviluppo”. Eh? Com’è possibile? Ventotto al giorno uguale dieci all’anno? Manco quello che dicono capiscono!»
    Eugenio non sa a chi si riferisca il Professore, se ai redattori o ai consiglieri comunali. Sarà stato diecimila – calcola rapidamente col pensiero – bel refuso, se è un refuso.
    «E il collega Vitaliano Calise» continua il Professore «collega di partito di quell’altro genio che non sa fare ventotto per trecentosessantacinque, va oltre: “Non ci piace un parco in cui i fenicotteri contano più degli esseri umani”. Ecco qua, Demurtas» conclude amaro il Professore. «E vogliamo vedere i ritagli del passato? Quando nel sessanta attaccavano il piano Mandolesi grazie al quale, è vero, Molentargius esiste ancora… Macché, oggi sono ancora più barbari. Tutti ritagli di questi anni le ho letto, roba di adesso, non certo preistoria… Perché non scrive un pezzo su quest’amministrazione?»
    «Sì, Professore, il pezzo è proprio di questo che parlerà, ma io non devo scoccare dardi sull’amministrazione così, in modo generico. Devo mettere insieme i pezzi, collegare…»
    «Bé, qui ce n’è di pezzi, mi pare. Ma lei, è vero, sa fare il suo mestiere benissimo, può fare a meno dei miei consigli senza alcuna perdita… Guardi come ne parlano. Sa genti arrùbia, tutti a dire sa genti arrùbia… che è un bellissimo nome collettivo, evocativo, poetico, …anche la città eterna è un bel nome, ma non per questo ci si dimentica il nome Roma, è vero» divaga il Professore. «Ci fosse un consigliere, uno solo, che sa come si chiama in sardo il fenicottero, il singolo trampoliere, non la flotta! Su manconi si chiama, e mica lo sanno. Non gliene importa proprio niente di sapere come si chiama, tanto, fosse per loro, cussa genti sarà arrùbia, ma di sangue, a furia di sterminarla» si accende il Professore con una vena tremula d’impeto nella voce e nei gesti. L’energia di un’antica indignazione, un’energia che spinge Eugenio finalmente a sbilanciarsi.
    «Professore, detto in tutta sincerità, ma è credibile come penso io che ci sia un disegno preciso di saccheggiare quest’area… casomai… dico, chissà, per far sì che il parco non decolli mai?»
    «Mh!, mh!» sogghigna il Professore, mentre esamina il manico di un tagliacarte. «Lei vorrebbe conferme, non mi sta chiedendo di certo cosa penso io. Ma cosa vuole, sono fuori da tutte le conoscenze, io, sono vecchio ormai… Ma sono ancora in vita è vero, leggo, apprendo, vedo e non mi può sfuggire che a Tuvixeddu sta succedendo lo stesso… incendi, atti di vandalismo… siamo una città tenuta in scacco da un clan di speculatori e palazzinari, Demurtas. Gentaglia miope, senza cuore, senza dignità. Io so che sono loro ad armare i vandali, ma non ho le prove, come diceva Pasolini» chiude il Professore indicando col tagliacarte l’archivio.
    Lì dentro, in qualche cartella sospesa, pensa Eugenio, pulserà ancora il ritaglio di quel memorabile j’accuse apparso sul Corriere.

    Non rientra a casa per pranzo, oggi Eugenio. Oggi come ieri, come tutti i giorni da qualche mese ormai. Meglio un panino in piazzetta Savoia o aggregarsi al primo collega in cerca di compagnia. Che tristezza prepararsi il pranzo a casa e mangiare da solo. Non hai ancora elaborato la rottura con Paola, certo che no, o forse sì, elaborare l’ho elaborata, il problema è tornare alla vita e rientrare nel giro degli esseri umani affettivamente stabili in modo compiuto, autosufficienti, disponibili, pronti a rimettersi in gioco, pensa accarezzandosi la barba di tre giorni.

    «Pronto, Buongiorno dottoressa Serri, sono Eugenio Demurtas de Il Cittadino. Posso farle qualche domanda? Ho letto uno stralcio della sua tesi che parla del parco di Molentargius.»
    «Sì era la tesi di specializzazione.»
    «Volevo chiederle il permesso di citarla in un’inchiesta che sto conducendo sul parco Molentargius-Saline, come riferimento bibliografico, ovviamente nominerei il suo lavoro, il suo nome…»
    «Beh, direi di sì, ma… di che tipo di inchiesta si tratta? Cioè su cosa…»
    «Allora, si parla di interessi vari che vorrebbero impedire la piena ed effettiva riuscita del parco… E a questo proposito il suo lavoro “Intervento umano e rischi ambientali: la sopravvivenza dell’avifauna nell’area umida di Molentargius, Cagliari” è una bella fonte da cui partire. Non sapevo, ad esempio, che dal 1965 l’area è posta sotto tutela di caccia. Leggo che… fino al ’65 si poteva sparare a Molentargius.»
    «È vero, ma non è che dal ’65 abbiano smesso di fare danni e di sterminare specie protette. Anzi!»
    «Sì, pure quello si legge nella sua tesi. Ma studi del genere, mi chiedevo, vengono presi in considerazione dalle amministrazioni… che so, come riferimento…»
    «Ma, non credo, anzi penso proprio di no. Ci hanno pensato i fenicotteri… se non avessero nidificato per la prima volta nel ’93, lei pensa che gli uomini spontaneamente avrebbero fatto qualcosa di serio per salvaguardare tutte le specie così preziose e vulnerabili che ci vivono? Gli hanno dato uno scossone altroché, li hanno spinti all’istituzione del parco. La svolta decisiva al parco l’hanno data i fenicotteri, ci crede? Meglio di qualunque amministrazione di qualunque colore.»
    «Ma oggi qual è il maggiore pericolo, secondo lei?»
    «Beh, il fatto che sia un territorio potenzialmente edificabile, strategico… Perché mai qualcuno senza scrupoli dovrebbe rinunciare allo sfruttamento?»
    «Sono proprio questi ultimi interessi ad aver impedito che il parco divenisse effettivo?»
    «Purtroppo negli ultimi anni ha prevalso l’intenzione di disfarsi di questi… di tutta l’avifauna che impedisce a qualche cartello di specularci sopra. Non si metta problemi a scrivere queste cose, io so quello che dico e non è la prima volta che ne parlo.»
    Decisa la ragazza!, pensa Eugenio ammirato. È giovane Ornella Serri, se ha fatto la tesi di specializzazione due anni fa sarà sulla trentina. Se la immagina bruna e minuta, dalle forme provocanti, le mani affusolate e mobili, le gambe snelle come gli arti di un fenicottero.
    «Quindi più che noncuranza e abbandono ai vandali e ai cani randagi, ci sarebbe proprio una volontà di far affondare il parco?»
    «Io non ci credo più ai cani randagi, ai piromani… Mi creda, ho motivi fondati per pensare che c’è un disegno ben preciso. Di noncuranti restano solo quella quindicina di belve… belve dico esseri umani, che mettono trappole per gli storni. Poi vabbè, mettiamoci l’alta tensione dell’Enel, l’inquinamento delle acque… Ma anche non affrontare sul serio questi problemi significa saccheggiare il parco.»
    «La mia inchiesta ovviamente sarà a puntate, diciamo così, quindi troverà dei virgolettati forse sul prossimo pezzo e…»
    «Io la leggo, sa, ho seguito parecchie delle sue inchieste, quella sulle scorie, quella sulle aree militari… Mi piace sa, Demurtas.»
    «Ah, beh grazie… io… io… la ringrazio dottoressa. Non so, potrà leggere qualcosa su questo colloquio nei prossimi giorni. Buongiorno. E grazie davvero.»
    Perché non le hai detto Mi farebbe piacere incontrarla dottoressa Serri, si rimprovera Eugenio, lei con quella voce battagliera e sensuale avrebbe risposto Sì volentieri, e avreste iniziato a darvi del tu. Le hai letto il titolo del suo lavoro per esteso, come se non lo conoscesse …l’area umida di Molentargius virgola Cagliari. Ah, beh grazie… io… Non sei riuscito a dirle altro, balosso, ti ha fatto i complimenti per il tuo lavoro, anzi ti ha detto Mi piace sa, e tu Ah beh grazie… io… io… ti sei mostrato impacciato come un adolescente, anziché approfittarne e dirle Io ammiro la tua determinazione, Ornella, perché non ci vediamo, abbiamo affinità, possiamo andare d’accordo. E poi aggiungere l’osservazione che stai pensando adesso: È una specie dalla sensibilità femminile il fenicottero, con la stessa energia che hai tu Ornella, farsi forza e addirittura condizionare gli uomini nidificando è un’azione di rivolta tutta femminile. È femmina il fenicottero e infatti è rosa, come la tua pelle da accarezzare “preziosa e vulnerabile” come hai detto tu, le ho virgolettate le tue parole, Ornella.

    Eugenio saluta i colleghi ed esce, diretto a casa. A piedi, come al solito. È un gran camminatore Eugenio, proprio come il Professore. Attraversa piazza del Carmine e indugia a osservare gli alberi e le facciate al sole limpido dopo il passaggio del maestrale. Anche il vociare dei bambini sembra più chiaro col cielo così terso. C’è un uomo che dorme sulla panchina di pietra. Come farà a dormire! Vabbè che è all’ombra, ma è tutto sudato…
    «Gigi, diamine!» esclama. Non basta pensarlo, ha bisogno di essere pronunciata quell’illuminazione.

    «Ciao Silvia, sono Eugenio, ti disturbo? come state?»
    «Insomma… bene.»
    «Ho letto che è stato fatto uno spettacolo che si chiama “Dedicato a Gigi”. È per Gigi Gigi, vero?»
    «Sì. Ti ricordi?, aveva seguito un programma di teatroterapia…»
    «Senti, ti sto chiamando per… ti volevo chiedere… non è che…»
    Paranoico, ecco cosa sei!, pensa fra sé Eugenio. Questa delle intercettazioni è una vera paranoia. Chi vuoi che ti intercetti, balosso. E se ti intercettano, chi vuoi che si preoccupi, mica stai parlando del Mossad… a chi gliene frega di cosa scopri tu su questa storia. Intanto temporeggia con Silvia.
    «Scusa Silvia, mi son distratto, sono in redazione» inventa Eugenio, «davanti al computer e ho visto “mail in arrivo”. Niente, pensavo di venire a salutare te e tua madre, prima o poi…»
    «Senz’altro. Ci farebbe piacere.»
    Ma se anche ti intercettano, chi cazzo potrebbe collegare. Anzi non è neppure paranoia. Mania di grandezza si chiama. Adesso perché hai letto che i giornalisti italiani sono intercettati, ti senti intercettabile anche tu, come se fossi un giornalista importante. È vero che oggi è uscita la prima puntata dell’inchiesta e pure il caporedattore era perplesso… il direttore ti ha convocato per avvisarti con quella frase sibillina: Vacci piano, Eugenio. Ma ormai la paranoia ha avuto la meglio, la telefonata si è conclusa e la conversazione continua due ore dopo nel tinello di casa di Silvia.
    «Ti ricordi quel tipo che era stato ricoverato con lui in psichiatria a Is Mirrionis? Guarda che Gigi ne parlava spesso….»
    «Ricoverato con Gigi… quando?»
    «Boh, non lo so, sarà stato nel duemila, nel duemilauno… era uno più o meno della sua età, capelli lunghi. Guarda che Gigi ne aveva parlato più volte, almeno con me, immagino che ne abbia parlato pure a voi. Avevano fatto amicizia, gli rubava le sigarette, aveva un tatuaggio, allora, quando ce li avevano in pochi, un drago disegnato abbastanza male sul braccio destro…»
    «Ma non starai parlando di Mommo? Aspetta, di cognome si chiamava… adesso che hai detto del tatuaggio mi son ricordata il tipo. Cancedda.»
    «Sai niente di quello?»
    «Posso chiederti perché ti interessa?»
    «È una storia lunga. Gigi mi aveva detto che questo Cancedda gli aveva raccontato di essere andato ad appiccare il fuoco a Molentargius, e, da quello che ho capito io, su commissione e se non ricordo male più di una volta. Sai perché me lo ricordo? Perché Gigi, aveva commentato: “maccu furiosu!”. Poi mi aveva guardato ed era scoppiato a ridere… e aveva detto: “Certo che io che dico di un altro “maccu furiosu!” Cèèè! Oh, ma Mommo è maccu furiosu per davvero!” Con uno di quegli slanci di umorismo che sapeva avere anche nei momenti più difficili.»
    Silvia sorride, forse Eugenio le ha ricordato un aspetto che le ha fatto rivivere il fratello o forse quello di Silvia è un sorriso cortese, ma in realtà le ha toccato una zona intima e inviolabile della memoria del fratello. Eugenio questo non riesce a decifrarlo.
    «Ora me lo sto ricordando anch’io questo fatto degli incendi.»
    «Non è che ti ricordi per caso se Gigi te ne aveva parlato, se aveva aggiunto dettagli…»
    «Dettagli… cioè? Su Cancedda in genere? O proprio sugli incendi, vuoi sapere?»
    Qualcosa gliela deve accennare Eugenio, altrimenti non si capisce la sua curiosità, anzi la sua insolenza. Anni che non si fa vivo, ora rispunta per raccogliere informazioni. Avrebbe dovuto dire che voleva fare domande come uno sbirro, e non far finta di incontrarla così, per sapere come stava. Né poteva dirle: Sai ho visto un uomo solo e abbandonato in una piazza e ho pensato a Gigi. Eppure era vero, era stato un richiamo troppo forte, di quelli che popolavano i pensieri coloratissimi e visionari di Gigi. Anzi era proprio come se Gigi si fosse rifatto vivo, coerentemente, con una suggestione delle sue, con un irrazionale cortocircuito del pensiero.
    «Allora, io sto seguendo un’inchiesta sulla volontà, da parte di qualcuno non meglio definito, di ostacolare la nascita del parco di Molentargius. O forse di non farlo nascere per niente e di distruggerlo.»
    «E chi è che avrebbe interesse a fare una cosa del genere?»
    «È quello che vorrei capire anch’io. Se per esempio questo Cancedda andava ad appiccare il fuoco dietro richiesta e ricompensa di qualcuno… da questo qualcuno si potrebbe risalire…»
    «Eh, ma io queste cose non le ricordo… Mi ricordo che Gigi mi aveva detto “cèèè pagu ignoranti puru Mommo! Dice andevamo a appiccicare il fuoco!” e rideva. Oppure: “o Gigi, ho visto a uno con i capelli come a te”. Gigi era attratto da questi individui ai margini. Lo incuriosivano e riusciva ad andarci d’accordo.»
    «Io vorrei sapere se questo Cancedda esiste ancora, se ci andava spesso, se ci va ancora…»
    «Guarda mi ricordo che Gigi mi aveva detto che Mommo Cancedda era uno sbertirori. Una volta aveva picchiato due infermieri… lo sedavano moltissimo per farlo stare tranquillo. Anzi Gigi si vantava di saperlo prendere: “O son tutti diffidenti, oppure lo temono. Io invece lo piglio per il culo. Gli dico O Mommo, tui ses maccu furiosu.” Aspè, si giocava tutto quello che aveva all’agenzia ippica, adesso ricordo che Gigi mi aveva detto questo. Comunque era un ragazzo molto difficile, passava da un ricovero coatto all’altro… Se vuoi posso informarmi.»
    «No vabbè, non è il caso che ti sbatti. Grazie, Silvia, semmai adesso ne so abbastanza per rintracciarlo.»
    «Eugenio, vuoi che ti faccia sapere quando lo rifanno a Cagliari lo spettacolo? La rappresentazione. L’hanno portata in giro per l’Italia, sai?»

    Però, a pensarci bene. Solo un familiare di uno che ha avuto problemi di salute mentale ha questo tatto. Ha detto “un ragazzo molto difficile”. Chiunque altro avrebbe detto un pazzo pericoloso. No, anche un assistente sociale, anche un prete parla così. È forte Silvia, eppure ne ha passate, altro che traumi del cazzo tipo il tuo con Paola… Ma avresti dovuto dirglielo: Senti Silvia, Gigi mi è venuto in mente perché ho visto un vagabondo dormire su una panchina di pietra in piazza del Carmine.

    «Ciao Cinzia, non è che ti posso chiedere se sai di un assistito…»
    «Utenti si chiamano, non assistiti. Cosa vuoi sapere?»
    «Beh, che mi dica almeno da dove iniziare. Io ti dico un nome e tu mi dici se per caso è…»
    «Nooo, ma sei matto? Io mica te ne posso dare informazioni di questo tipo. C’è la privacy, mica…»
    «Io ti dico solo un nome e tu mi dici se era un tuo assistito o no: Mommo Cancedda, il nome di battesimo non lo so.»
    «Mommo Cancedda? Ma Mommo Cancedda è morto! Sarà un anno fa. L’avevano trovato morto in macchina, non che ne avessero parlato più di tanto, ma già… Ma tu non sei giornalista?»
    Cazzo, Mommo Cancedda morto, pensa Eugenio. Sì, ora ricorda vagamente: cadavere ritrovato a Su Siccu… Ma chi l’avrebbe mai detto… non è che…
    «Ah Cancedda… quel Cancedda. No, anzi volevo proprio capire se era lo stesso, quello trovato ucciso e il Cancedda su cui cercavo notizie, o se era un omonimo.»
    «Be io non lo so chi è il Mommo Cancedda su cui stai facendo ricerche, il nostro utente di nome di battesimo si chiamava Gerolamo.»

    Bastava fare una ricerca al giornale. Tutto un casino e avevi la soluzione in casa, pensi sedentoti alla scrivania. C’è un post-it per te: Ti ha cercato Mauro Frassinetti, e appresso i suoi recapiti telefonici. Mauretto!, una vita che non lo senti, dai tempi del campetto del Cep, no vabbè rivedere già l’hai rivisto, ma come mai si fa vivo? Forse anche lui ti vuole avvisare, Stai attento con quest’inchiesta, quello è un giro che se gli serve scomoda gente balorda… Accidenti Eugenio, ormai non ha più freni la tua paranoia, prima le intercettazioni, adesso ti fai un film di Scorsese…
    «Te ne eri occupato tu Luciano?»
    «Eia, era un caso di disperati. Ricoveri psichiatrici, droga, prostituzione maschile, debiti… guarda che prima era sembrato un incidente di giochi erotici pericolosi sfociati in tragedia, poi era stato incriminato un suo amico, ma alla fine era stato scagionato. Puoi cercarti tutti gli articoli sulla storia, ne avevamo parlato noi, gli altri, dovresti trovare parecchie cose…»
    “Si segue la pista gay.” Come cazzo fai a scrivere così Luciano, si segue la pista gay! Gerolamo Cancedda… “Il cadavere dell’uomo è stato ritrovato ai parcheggi della Fiera, dove si svolge il mercimonio dell’eros omosex…” cazzo, Luciano, che prosa però! “…strangolato con un’arma impropria, verosimilmente un filo di nylon o un cavetto come si evince dai riscontri rilevati dal medico legale… circostanze che fanno pensare che Cancedda, appartatosi col partner… se invece si ammette la premeditazione allora l’assassino potrebbe non aver agito da solo… Dal ritrovamento della vittima, si pensa…” e vabbè, altre puttanate. Due mesi dopo, quando l’attenzione intorno al caso diminuisce, viene fermato Efisio Esquivel, pregiudicato…

    Gnazio è il più cràstulo di Cagliari e ha lavorato all’Agenzia Ippica. Si presta volentieri a chiacchierare a un tavolino del bar Europa. Non l’avresti mai detto che un giorno sarebbe stato l’uomo giusto al momento giusto.
    Gnazio ha un taglio convenzionale di basette, baffetti e pizzetto sottilissimi. Un cappellino Nike, e occhiali da sole d’ordinanza. Tutta una generazione con un unico cappellino e un unico paio di occhiali da sole.
    «Cancedda? Boh. Ah, sì, certo che me lo ricordo. In agenzia lo chiamavamo Drupi, gliel’avevo messo io. Là, sta arrivando Drupi. Me lo ricordo perché una volta era entrato in agenzia con una farfallina nei capelli, tipo quelle che se le acchiappi diventano polvere. Torna due giorni dopo in agenzia, e non ci aveva ancora la farfallina nei capelli?»
    «E bà?»
    «Eia! Aha!»
    Gnazio si gira, guarda dappertutto, si fa distrarre da quelli che passano, non gli sfugge niente e commenta: culi, tette, vestiti, macchine… sembra che stia sorvegliando chissà che cosa, non guarda negli occhi Eugenio. E sempre con questo sorrisino stampato in volto, pensa Eugenio.
    «Ascò, ma con chi lo vedevi in agenzia?»
    «Cioè, con chi lo vedevo io… o con chi era lui quando veniva in agenzia?» chiede ruminando una manciata di arachidi.
    Ma che domanda del cazzo mi fa, pensa Eugenio.
    «No, con chi legava, se aveva amici che frequentavano l’agenzia, se lo vedevate sempre con la stessa gente o no…»
    «Guarda, era amico di Rischiatutto. Amico!… capirai l’amico! Rischiatutto però non gliel’ho messo io, si chiamava così già da prima. Una volta avevano certato, ma male! Rischiatutto aveva fatto una bella vincita e Drupi vuole una parte perché dice che gli doveva soldi. Si prendono a urla, Drupi gli dice “deu ri bocciu se non mi dai quello che mi spetta, facc’e bagassa!!” Vanno fuori dell’agenzia e stanno per partirsi, anzi Drupi parte Rischiatutto, ma poi li separano subito. Allora Rischiatutto tutto sanguinante gli urla “ses mottu! Ses mottu!” Oh, ses mottu ses mottu, e infatti sei mesi dopo lo trovano morto davvero a Drupi. Com’è?, Cancedda si chiamava, giusto?»
    «Ma questo Rischiattutto, si chiama per caso Esquivel?»
    «E ita n’di sciu deu? Mica gli chiediamo i documenti in agenzia, oh!»

    Ci son due messaggi in segreteria. Mauretto, che dice che ti deve parlare, e Paola. Il fatto che Paola ti abbia chiamato forse è un buon segno, o forse un brutto segno, dipende. Significa che ti ha archiviato e che ormai ti trova inoffensivo. Ti ha cercato al fisso sapendo che non c’eri… comodo così!, Ti dimostro che mi faccio viva ma senza sentirti… perché non mi chiami al cellulare che parli direttamente con me! Sì ma che le dici, se poi vi sentite? Sai com’è, mi piace una donna fenicottero, a dire il vero non l’ho mai vista, non so neppure come sia fatta, né cosa faccia, magari è sposata, innamorata e con figli, oppure è una ragazza bruttina, chissà, ma la sua voce calda e palpitante è un richiamo irresistibile, ed è intelligente e sensibile, con un’energia… Insomma, ti piace una donna fenicottero che non hai mai visto? Se proprio volevi indispettirmi potevi provarci in modo un po’ meno sciocco. Io invece volevo parlarti seriamente, sto vedendo un ragazzo adesso, fa il dentista ed è carino, gentile, sa ascoltare…

    Eugenio parcheggia in una stradina del Cep che si perde in un cortile. Mauretto ha una gamba ingessata, per sentire cos’ha da dire bisognava per forza venire qui a casa sua. Altro che paranoie, era proprio dell’inchiesta che sta uscendo a puntate, che ti voleva parlare. Dalle finestre dei palazzi che si affacciano sul cortile arrivano rumori di stoviglie, spot televisivi, pianti di bambini e urla di madri stanche e spazientite, in quest’ora pigra e afosa del pomeriggio.
    «Tu già l’hai capito che a Mommo lo fanno fuori perché voleva chiedere più soldi, ancora più soldi, guarda che le scommesse sono una droga, e già lo sappiamo che non c’era di testa Mommo. Io lo so perché me l’ha detto lui che gli avevano dato soldi per una commissioncina… a mettere il fuoco nel canneto, a mollarci cani dentro… ma poi, capito, io glielo dicevo: Ses maccu?, tienitele per te queste cose! Allora poi si è incazzato perché non gliel’hanno più chiesto a lui, e allora gli è venuto in mente di ricattare a chi gli aveva dato il lavoretto, che se non gli davano altri soldi li sputtanava. Gente in alto, Eugenio, cumprèndiu? Fillus de papà cresciuti, ma molto in alto, di quelli che non se le sporcano le mani.»
    «E perché lo dici a me, Mauretto?»
    «E a chini du deppu nai, ai carabinieri secondo te? Capito, mi devo sfogare con qualcuno fidato, io non ci riesco, questa cosa che mi sta dentro mi provoca il fegato, mi provoca. Perché hanno fatto tutta una messinscena… Mommo che per un paio di giorni lo vedono in un sacco di posti… locali, baretti, con cussus picchiocchèddus che danno il culo… e Mommo ci andava così a ciucciù secondo te? Se voleva andava ai parcheggi punto e basta! Mica si n’di andàra aìcci a spassu, a si fai pubblicità!»
    Ha ragione Mauretto: magari Mommo ogni tanto andava a maschi, ma perché farsi vedere in giro così? È come se avessero scritto Si sappia che a Cancedda Gerolamo, noto Mommo, i maschietti non dispiacciono e che ai parcheggi della Fiera lui non ci capita per caso. Alle comparse avranno dato qualche bel bigliettone per fargli compagnia quei giorni, gli avranno promesso qualche grammo di coca… Quelli che hanno fatto il lavoretto ai parcheggi non erano certo ragazzini in affitto, altrimenti Mommo li avrebbe messi cappaò senza problemi, anche in due. Anzi, magari l’hanno fatto fuori chissà dove, poi hanno lasciato la macchina ai parcheggi della Fiera. E se poi qualcuno si insospettisce e vuol vederci chiaro, ammesso che succeda perché per Mommo non si muove certo Scotland Yard, restano sempre le minacce di Rischiatutto.

    “Io so. Io so che sono loro ad armare i vandali e ad eliminarli se diventano scomodi. Io so i nomi, ma non ho le prove, come scrisse Pasolini.” Sì puoi anche scriverlo un articolo con un attacco del genere, ma tanto non te lo pubblicheranno mai, Il Cittadino non è il Corriere e tu non sei il Professore, tantomeno Pasolini.

    Gigi adesso avrebbe avuto una delle sue visioni, di quelle intuizioni che lui sentiva come voci. Chiaro che se Gigi torna in mente, torna allo stesso modo, anche lui sotto forma di visione. E alla fine aderisci alla sua fantasia e non sai più se è un pensiero tuo che immagini detto da lui o se è davvero Gigi da lassù a ispirartelo.
    Gigi, cosa penseresti adesso di tutta questa storia?
    Pasolini è morto anche lui come Mommo, ci avevi pensato Eugenio?
    Comunque… vuoi sapere cosa penso io? Chiamala, Eugè. La tipa… la ragazza fenicottero. Secondo me ce n’è. Lo sento.

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