Intervista di Roberto Fantini per Flipnews

IMPORTANTI CONDANNE PER I CRIMINI DELLA DITTATURA ARGENTINA.

Scritto da  Roberto Fantini (pubblicato su Flipnews)

Una conversazione con Paolo Maccioni, giornalista e soggettista, autore di Buenos Aires troppo tardi, bellissimo romanzo-saggio ispirato alla tragedia dei desaparecidos argentini.


– Qualche giorno fa, con una sentenza che molti hanno definito “storica” e che Amnesty International ritieneUna grande vittoria nella lotta contro l’impunità” , l’ex ufficiale della Marina argentina Alfredo Astiz è stato condannato all’ergastolo per i crimini contro l’umanità commessi durante il regime militare e, con lui, altre 11 persone (ex militari o poliziotti) sono state condannate al carcere a vita per le torture e le uccisioni compiute sempre durante la dittatura, mentre altri quattro hanno ricevuto una pena ridotta che va dai 18 ai 25 anni.

Qual è l’importanza di questa sentenza?

Un’importanza di portata storica, come sottolinei tu e come commentano diversi osservatori in Argentina. Finalmente, a distanza di 34 anni, sono stati condannati i responsabili dei sequestri, delle torture e degli omicidi avvenuti durante l’infausta dittatura militare che insanguinò il Paese fra il 1976 e il 1983. In realtà, costoro, condannati all’ultimo recente processo, sono solo alcuni dei responsabili di quei massacri: già alla vigilia dello scorso Natale fu condannato all’ergastolo il generale Jorge Videla, primo presidente della dittatura. Di certo, gli ex ufficiali e sottufficiali condannati con la sentenza del 27 ottobre scorso sono fra i più tristemente celebri per spietatezza: il capitano di fregata Alfredo Astiz, soprannominato “L’angelo biondo” o “L’angelo della morte”, Jorge  “El Tigre”Acosta, capo operativo del principale centro clandestino di detenzione della Marina Militare, ed altri mostri. Si tratta del gruppo d’azione che faceva capo all’Ammiraglio Emilio Eduardo Massera (che, insieme al capo dell’esercito Jorge Videla e al vertice dell’aviazione il generale Agosti, costituì il triumvirato golpista) e che ebbe come quartier generale la famigerata ESMA, la Scuola Superiore di Meccanica della Marina trasformata durante la dittatura nel più disumano centro di detenzione, tortura e sterminio del Paese. Alla ESMA passarono circa cinquemila sequestrati, la maggior parte dei quali, poi, divennero desaparecidos. L’importanza di questa sentenza è di avere ristabilito la giustizia per crimini fra i più celebri e molto sentiti in Argentina, come il sequestro e l’eliminazione del cosiddetto “Gruppo della Chiesa Santa Cruz”, dove si riunivano i primissimi familiari di desaparecidos, delle due suore francesi Alice Domon e Léonie Duquet e dello scrittore e giornalista Rodolfo Walsh, per troppo tempo impuniti. La portata storica della sentenza, poi, è data anche dall’istanza presentata, in seno a questo processo, alla Corte Suprema di Giustizia della Nazione affinché promuova, dinanzi agli organi internazionali di Giustizia, l’inserimento della figura del perseguitato politico nei casi contemplati dal crimine internazionale di Genocidio, come sottolineato dalle cronache più attente, perlopiù in Argentina, e pressoché ignorato dai nostri media.

Come tu mi confermi, siamo indubbiamente davanti ad un grosso risultato. Ma come si spiega che, ancora dopo tanti anni, si faccia così tanta fatica a fare giustizia su quanto accaduto?

Ciò è dovuto ad una serie di ragioni. Prima fra tutte l’impunità di cui ha goduto per decenni tutta la catena di comando militare, dai vertici all’ultimo sottoposto, grazie alle infami leggi del “Punto Final” e della “Obediencia debida” , promulgate durante il governo democratico di Raúl Alfonsín, cui si aggiunsero poi i successivi indulti promulgati da Carlos Menem. Si trattava di una democrazia concessa e non conquistata, con tutte le limitazioni che questa distinzione comporta. Di fatto, i militari, dopo il 1983, pur non detenendo il potere, erano ancora in grado di imporre ricatti all’acerba democrazia. Leggi che determinarono la frustrazione di un intero popolo, costretto nell’impossibilità di ristabilire la verità storica e processuale, e che pesarono anche negli anni successivi. Le invereconde leggi e gli indulti di cui sopra furono poi annullati dal Congresso durante la presidenza di Néstor Kirchner nel 2003. Da allora, è servito parecchio tempo perché dei coraggiosi procuratori, magistrati, sopravvissuti e membri di organizzazioni per i diritti umani raccogliessero le forze, oltre che la documentazione necessaria, per poter celebrare i processi. Non è stata un’operazione facile, non lo è mai quando c’è da riscrivere la storia di un Paese, di un’intera generazione. C’è di mezzo il profondo, insanabile trauma e la dolorosa e inesorabilmente lenta elaborazione dello stesso.

–         Come hanno potuto i macellai argentini, piccoli e grandi, agire indisturbati, senza che si creasse una ferma condanna nazionale e, soprattutto, internazionale nei loro confronti?

–         Anche in questo caso le ragioni sono complesse, ma proviamo a spiegarle almeno per sommi capi. Per farlo,  conviene ricorrere alla comparazione col golpe cileno, avvenuto due anni e mezzo prima, che, invece, suscitò condanna e indignazione in tutto il mondo. Il golpe cileno ebbe i caratteri del dramma teatrale, con figure ben definite e riconoscibili. Un presidente eletto, Salvador Allende, che soccombe asserragliato dentro il Palacio de la Moneda, ed un generale golpista, Augusto Pinochet, che prende il potere con la forza. L’evento si consumò in modo appariscente, diremmo in un modo “televisivo”, in grado di suscitare disappunto e condanna, con il bombardamento del Palacio de la Moneda e le successive immagini dei sequestrati, mani dietro la nuca, concentrati dentro lo stadio di Santiago. Tutto ciò non accadde in Argentina. I militari argentini presero sì il potere senza alcuna legittimazione, il 24 marzo del 1976. Ma rovesciarono un governo “del quale facevano parte” come scrisse Rodolfo Walsh. La presidente in carica Isabelita Martínez, vedova Perón, per niente benvoluta dal popolo, non era stata eletta ma aveva assunto la carica presidenziale raccogliendo il testimone dal marito Juán Domingo Perón alla sua morte, succedendogli da vicepresidente qual era “per continuità costituzionale”, ma senza passare per la legittimazione popolare. I militari, senza sparare un colpo, presero la Casa Rosada semplicemente destituendo il gabinetto, in un momento di forte crisi politica, economica e di aspra violenza. Addirittura il golpe, come testimoniano diversi testi, fu salutato con favore persino da parecchi oppositori, che avevano patito la repressione dell’ultradestra peronista sotto Isabelita, ignari del fatto che la macchina repressiva che si sarebbe abbattuta sulla nazione sarebbe stata infinitamente più feroce. Si illusero che i militari si sarebbero limitati a gestire il potere giusto il tempo di convocare nuove elezioni entro nove mesi, come avevano promesso e come era ripetutamente accaduto in passato in Argentina. Dunque,  nessun bombardamento, nessun presidente eletto che viene rovesciato. Quindi,  ci volle più tempo per elaborarlo anche e soprattutto all’estero: l’indignazione è più figlia dell’emotività che della piena consapevolezza. L’occhio non vide, il cuore non dolse, per così dire. Presto la giunta militare abolì i diritti civili, sciolse il parlamento e la Corte suprema di giustizia, proibì i partiti, commissariò i sindacati, imbavagliò la stampa, instaurando il terrore più profondo che la società argentina abbia mai conosciuto, ma nessuna scintilla aveva acceso per tempo l’indignazione dell’opinione pubblica internazionale. Inoltre, c’è da dire che i militari argentini, forti della recente esperienza cilena, non ne ripeterono le controproducenti spettacolarizzazioni. Da qui l’istituto della desaparición: il perseguitato scompare, viene torturato ed eliminato in segreto, formalmente non risulta neppure morto. I familiari, gli amici, i compagni, i colleghi, i vicini del sequestrato sono resi impotenti, si sentono minacciati: così viene repressa e zittita un’intera nazione. Un terrorismo di Stato istituito con perfetta lucidità. Infine, e questo è un punto chiave, i militari argentini ebbero complicità ben più trasversali. Oltre a  quelle degli Stati Uniti  (che più che complici furono patrocinatori), del Vaticano e della P2, comprarono il silenzio persino dell’Unione Sovietica, e conseguentemente dei partiti comunisti europei, indorandola con esportazioni agroalimentari: durante la dittatura militare,  l’80% delle granaglie argentine finivano a Mosca. Così,  a puntare il dito contro il regime argentino restarono solo gli intellettuali di sinistra non irregimentati, come spiegò bene sul Manifesto Osvaldo Soriano. Chi volse lo sguardo altrove, chi, pur sapendo, è rimasto inerme, non ha mai pagato il prezzo della propria infame, complice ignavia.

Familiari di desaparecidos, con le immagini di Rodolfo Walsh, attendono la sentenza fuori dal tribunale (foto Guillermo Adami, El Clarín)

– A tuo avviso, ci sono ancora aspetti della tragedia argentina dei desaparecidos non adeguatamente chiariti?

Senza dubbio, la storia recente d’Argentina va riscritta. Anche se, in realtà, lo si è fatto o lo si sta facendo sia sul piano della Memoria che su quello della Giustizia. Un’operazione complessa, che richiede tempo e che passa anche attraverso atti istituzionali, apparentemente formali ma molto significativi, come, ad esempio, l’approvazione da parte della legislatura della città di Buenos Aires, nel 2002, della legge per la creazione del Luogo per l’Istituto della Memoria col proposito di “salvaguardare e trasmettere la memoria e la storia degli eventi che ebbero luogo durante il terrorismo di Stato degli anni ’70 e dei primi anni ’80”.  E dal 2004, infatti, la già citata ESMA è  Luogo della memoria e della promozione e difesa dei Diritti Umani. Praticamente, un lager che oggi (dietro permesso e con guida) si può visitare. Per non dimenticare. Solo così la Storia può essere davvero condivisa e divenire patrimonio della memoria collettiva. Il punto è che sia i processi che il lavoro di rielaborazione e di riscrittura di quelle tristi pagine sono stati tardivi. Sono stati celebrati processi, sono usciti testi, saggi, documenti, archivi online, una ricca filmografia: tutto materiale postumo. Senza quel coinvolgimento che la contemporaneità comporta, la riscrittura della storia della dittatura militare argentina e del dramma dei desaparecidos è stato e continua ad essere un lento processo che riguarda principalmente gli argentini, ma da noi, e, più generalmente fuori dai confini dell’Argentina, è un tema che tocca appena un circolo ristretto di intelligenze curiose; per la stragrande maggioranza dei cittadini è una questione lontana nel tempo e nello spazio. Ciò che ancora dovrebbe essere esplorato, o meglio interiorizzato, è la complessa rete di complicità: ad esempio, il fatto che gli USA fossero non solo pienamente consapevoli della macelleria genocida che avveniva in Argentina, come dimostrano diversi documenti, ma pure che ne fossero i promotori. Oppure, il controverso ruolo del Vaticano. Mentre da un lato diversi vescovi, sacerdoti e suore, in prima linea, patirono col popolo argentino, contando numerosi martiri e desaparecidos, dall’altro i vertici della Chiesa appoggiavano e benedicevano il golpe, la carneficina, la pratica della desaparición. Lo stesso dicasi per il ruolo della P2, cui erano iscritti diversi militari golpisti di vario grado fra cui lo stesso Ammiraglio Massera, che, di fatto, funzionò come una sorta di ministero non ufficiale per il commercio estero italiano, con grandi aziende del nostro Paese coinvolte nella sanguinosa spartizione internazionale della torta argentina. Ciò che non si poteva fare alla luce del sole attraverso i canali istituzionali, perché sconveniente e riprovevole, lo si faceva per i più torbidi canali sotterranei. Si potrebbe continuare con il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, e un lungo elenco di compagnie o industrie statunitensi ed europee. Né gli USA, né il Vaticano, né gli altri poteri sopra nominati hanno mai fatto un vero, profondo e analitico mea culpa, né imposto o richiesto da alcun organo o istituzione né tanto meno spontaneo. Conseguentemente, neppure l’opinione pubblica mondiale è consapevole fino in fondo di queste responsabilità e continua a trattarle come istituzioni, organi, imprese o nazioni rispettabili, come se tutto ciò non fosse mai accaduto. Questo forse è l’aspetto della tragedia dei desaparecidos meno chiarito in assoluto di cui si chiedeva conto nella tua domanda.

– Astiz e gli altri condannati sono stati ritenuti responsabili anche dell’uccisione di Rodolfo Walsh. Non credi anche tu che la figura di questo giornalista meriterebbe una ben più rilevante considerazione all’interno della nostra memoria collettiva?

Certo, assolutamente. Rodolfo Walsh meglio e più di tanti altri incarna la figura della resistenza in Argentina e del modello di giornalista che non si piega, in nome della verità e a rischio della propria vita. Come trent’anni più tardi, in un altro emisfero, in un altro contesto, Anna Politkovskaja, per fare un’analogia. Scrittore, giornalista e militante montonero, Walsh ebbe un profilo biografico e professionale che attraversò mezzo secolo di storia argentina e, più in generale, latino-americana. Mai incline al compromesso, alle scelte più comode, redditizie o sicure, pagò con la propria esistenza il prezzo del suo ostinato attaccamento alla verità, al popolo argentino. Costantemente braccato, già prima della dittatura militare, e costretto a cambiare ripetutamente domicilio e identità, a vivere in clandestinità. Assunse l’impegno civile di dar conto attraverso la Ancla, l’Agenzia di notizie clandestina da lui fondata, di tutte le efferatezze compiute dalla Giunta militare, di tutte le notizie che mai avrebbero potuto avere cittadinanza sugli organi di informazione. Inviava i ciclostilati alle redazioni dei giornali nazionali, ai corrispondenti esteri, alle ambasciate, consapevole che non avrebbero potuto pubblicarle, ma fedele al dovere di informare e di poter affermare: “almeno non potranno dire che non sapevano”.

Vorrei citare la conclusione della sua celebre “Lettera aperta alla Giunta militare”, da lui redatta nel primo anniversario del golpe e spedita appena prima di cadere nell’agguato tesogli dagli sgherri condannati con la recente sentenza del 27 ottobre scorso: “senza speranza di essere ascoltato, con la certezza di essere perseguitato, però fedele all’impegno che ho assunto da molto tempo di dare testimonianza nei momenti difficili”.

Al termine del lungo elenco di efferatezze, di esecuzioni sommarie, di torture e abominii citati nella prima parte del suo j’accuse, Walsh aggiunge: “non sono tuttavia questi i crimini che hanno arrecato le maggiori sofferenze al popolo argentino né sono le peggiori violazioni dei diritti umani in cui voi incorrete. Nella politica economica di questo governo si deve ricercare non solo la spiegazione dei vostri crimini, ma una maggiore atrocità: la condanna di milioni di esseri umani alla miseria pianificata”.

Walsh, insomma, ha più di ogni altro analizzato lucidamente e prima che la storia fosse tale, cioè quando era ancora cronaca, le ragioni del golpe, non limitandosi a documentare i crimini compiuti dal terrorismo di Stato, ma indagando sulle complicità, individuandole nei poteri transnazionali che smantellarono l’industria argentina, consegnarono il sistema creditizio in mani straniere, sottrassero sovranità alla finanza ed all’economia del Paese, asservendolo a beneficio di pochi: i militari non furono che il braccio esecutivo di un potere che aveva il suo centro altrove. Ancora una volta, citando le sue parole: “Dettata dal Fondo Monetario Internazionale secondo un ricetta che si applica indistamente a Zaire o Cile a Uruguay o Indonesia, la politica economica di questa Giunta riconosce soltanto come beneficiari la vecchia oligarchia degli allevatori di bestiame, la nuova oligarchia degli speculatori e un gruppo scelto di monopoli internazionali a cominciare dalla ITT, dalla Esso, dall’industria automobilistica, dalla U.S. Steel, dalla Siemens, cui sono personalmente legati i ministro Martínez de Hoz (ministro dell’economia durante la dittatura, ndr) e tutti i membri del vostro gabinetto. Privatizzando le banche si mettono il risparmio e il credito nazionale nelle mani della banca straniera, indennizzando la ITT e la Siemens si premiano imprese che hanno truffato lo Stato, ripristinando i punti vendita si aumentano i profitti della Shell e della Esso, ribassando le tariffe doganali si crea occupazione a Hong Kong o a Singapore e disoccupazione in Argentina”.

Un piano di spoliazione che si consolida definitivamente con la dittatura militare, ma che era già iniziato da tempo, come osservò Walsh in altri scritti anteriori: “Le forze armate hanno consolidato il loro ruolo come partner in affari delle compagnie straniere, principalmente degli Stati Uniti. Nel 1970, 260 ufficiali di rango sedevano nei consigli di amministrazione delle compagnie straniere, e già nel 1971 le forze armate avevano preso il controllo del 66% delle maggiori compagnie del paese”.

E ancora: “La repubblica argentina, una delle nazioni con il più basso tasso di investimenti stranieri, 5% di tutti gli investimenti, che rimette solo un dollaro all’estero pro capite all’anno, comincia a cercare quei prestiti che giovano solo a chi li presta. Un solo decreto, il numero 13.215, storna 2 miliardi di dollari dai depositi nazionali mettendoli nelle mani degli istituti bancari internazionali che così controllano il credito, strangolando la piccola industria e preparando la strada all’invasione massiccia dei grandi monopoli”.

Un pensiero che trovo ancora attualissimo: sovranità che vengono spodestate e cancellate da un invisibile potere internazionale. Ancora oggi. Fortunatamente, senza lo stesso sangue e senza desapariciones, quanto meno in questi tempi e alle nostre latitudini. Ma con la medesima atrocità cui accennava il j’accuse di Rodolfo Walsh: la condanna di milioni di esseri umani alla miseria pianificata “raro frutto di fredda deliberazione e rozza inettitudine”. Sembra quasi che parli di noi. Oggi.

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