La leggenda di Robin Hood

Il Sole24Ore ~ 3 luglio 2008
Ici, il taglio costerà allo Stato un miliardo in più del previsto
Il rimborso che lo Stato dovrà corrispondere ai Comuni per la totale abolizione dell’Ici, compreso il taglio effettuato dal Governo Prodi, è compreso tra 3,5 e 3,7 miliardi, circa un miliardo in più rispetto alle stime del Governo (2,6 mld). Lo stimano i tecnici del Servizio Bilancio del Senato in base all’analisi dei dati 2006 dei certificati di conto di bilancio che i Comuni hanno inviato al ministero dell’Interno e che coprono il 96% della platea.

Un articolo di Tito Boeri dello scorso 21 giugno:

La leggenda della Robin tax
di TITO BOERI
La leggenda di Robin Hood risale a più di 700 anni fa. Quella della Robin tax, una tassa sui petrolieri che toglie ai ricchi per dare ai poveri, ha una storia trentennale, il tempo che ci separa dal secondo shock petrolifero.
Con il prezzo del petrolio non lontano, in termini reali, dai livelli attuali, fu Jimmy Carter a recitare le parti dell’arciere della foresta di Sherwood. Non si sa se Robin Hood sia mai esistito. Si sa, invece, con certezza che la Robin Hood tax non si è mai materializzata. Se ne è parlato in molte campagne elettorali (compresa quella in corso negli Stati Uniti) perché la proposta è molto accattivante, ma quando si è trattato di fare sul serio, la Robin tax è rimasta solo un sogno nel cassetto, una leggenda. La verità è che si teme che la tassa finirebbe per trasferirsi sui consumatori sotto forma di prezzi più alti, facendo pagare il conto a milioni di famiglie, anziché alle compagnie petrolifere. Il fatto è che la domanda di carburante è poco reattiva a variazioni del prezzo. Ci vuole del tempo per cambiare abitudini, rinunciare ad andare al lavoro in macchina, dotarsi di fonti di riscaldamento alternative, investire in tecnologie che riducano la nostra dipendenza dal petrolio. Quindi le compagnie petrolifere e i distributori possono tranquillamente aumentare i prezzi per compensare il maggiore prelievo senza temere forti contraccolpi sulle quantità vendute.
Anche la Robin tax annunciata da Giulio Tremonti rimarrà una leggenda. Ci sarà un incremento delle royalties sull’estrazione che ha luogo nel nostro paese. Dovrebbe portare alle casse dello Stato non più di 150 milioni, meno di un decimo di quello che l’erario ha ottenuto dai rincari della benzina in termini di gettito aggiuntivo dell’Iva sui carburanti. Poi ci sarà un macchinoso prelievo sulla rivalutazione delle scorte di magazzino. Nessuno sa quale sarà il gettito di queste nuove norme contabili, ma si parla di poche decine di milioni dato che molte riserve sono strategiche e altre non sono fisicamente sul nostro territorio.
Il piatto forte con cui Tremonti vuole mostrare di fare sul serio è rappresentato dall’innalzamento dell’aliquota Ires (dal 27 al 33 per cento) sull’intera filiera petrolifera (dalla produzione alla distribuzione) e sulla stessa generazione e commercializzazione di energia elettrica. Questa tassa, colpendo soprattutto la distribuzione, finirà per gravare sulle famiglie in termini di prezzi più alti del carburante e dell’energia elettrica. Tremonti è ben consapevole di questo rischio, tant’è che un articolo del decreto varato mercoledì dal Consiglio dei ministri “in soli 9 minuti” (si vede perché non c’è ancora un testo finale!) impone il “divieto di traslare le maggiorazioni d’imposta sui consumatori”. È un divieto di carta, niente di più che moral suasion, perché ampi settori del mercato energetico non sono regolamentati e non possono essere soggetti a prezzi amministrati in virtù di direttive comunitarie. Anche nei comparti dove il prezzo è regolamentato, questo trasferisce sui consumatori ogni maggiorazione dei costi.
Poco meno di metà del raccolto con queste tasse straordinarie verrà destinato agli anziani sottoforma di carte prepagate per cibo e bollette, anziché trasferimenti in denaro (perché?). Non si sa nulla sui criteri di scelta dei beneficiari, anche questo un segno dell’improvvisazione con cui sono stati varati i provvedimenti dal Consiglio dei ministri. Né si capisce perché debbano esserci requisiti anagrafici, proprio mentre l’Istat segnala un forte incremento della disoccupazione giovanile. La verità è che si vuole contenere l’esborso dato che la maggioranza del gettito verrà destinata ad altri fini.
In sostanza si profila un trasferimento principalmente dai consumatori di energia allo Stato e ai beneficiari di queste carte prepagate, di cui speriamo di conoscere prima o poi l’identità (strano che il Consiglio dei ministri non abbia voluto mettere paletti a riguardo).
I titoli che hanno subito maggiori contraccolpi dopo il Consiglio dei ministri di mercoledì sono quelli della distribuzione petrolifera, mentre l’Eni ha avuto un andamento più altalenante, soprattutto a causa del downgrading del proprio debito. Non stupisce che l’arciere di via XX Settembre non abbia tirato fuori dalla sua faretra neanche una freccia per colpire davvero i profitti dei produttori di petrolio operanti nel nostro paese. Il fatto è che il Tesoro è il maggiore azionista dell’Eni. Del resto, se il Governo voleva fare sul serio, se intendeva davvero destinare i ricavi derivanti dall’aumento del petrolio ai più poveri, poteva utilizzare quei quasi due miliardi che incassa dall’Eni sotto forma di dividendi. Non c’era bisogno di introdurre alcuna nuova tassa straordinaria.
Si è voluto, invece, ricorrere, una volta di più, a tasse straordinarie, che sono brutte, anzi bruttissime. Offrono infatti a tutti l’idea di un fisco arbitrario, di regole che possono essere cambiate a volontà dal politico di turno. Chi stabilisce quali sono i profitti da tartassare? Quando e come verranno colpite le altre rendite? Forse il vero significato di questa nuova leggenda poliuretana è proprio questo: si cerca di massimizzare il libero arbitrio del ministro dell’Economia. Anziché i panni di Robin Hood, sembra oggi vestire quelli dello sceriffo di Nottingham, titolare del potere costituito che non rispetta la parola data. Per lui non si potrà neanche dire che ha fatto promesse in campagna elettorale, quando si sa che tutte le lingue sono biforcute. La Robin tax è nata ad urne chiuse. L’unico risultato che ha raggiunto è mettere il cuore in pace al Governo per quanto riguarda le misure di aiuto ai poveri. Difficile che se ne parlerà per il resto della legislatura nonostante i riverberi dell’inflazione, che penalizzano soprattutto le famiglie più povere, di qualsiasi età.
A Castle Green, nel Berkshire, c’è una statua di Robin Hood. Tutti gli anni ignoti rubano la freccia e l’amministrazione comunale deve rimpiazzarla. A Palazzo Chigi, in quello che oggi è il Berluskshire, i soliti noti hanno in questi giorni sottratto la freccia di Robin Hood. Per favore ridatecela.
(21 giugno 2008)

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One Response to La leggenda di Robin Hood

  1. Paolo dicono:

    Oggi 20 luglio 2008, Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera nell’editoriale di prima pagina ribadisce le stesse cose.
    http://www.corriere.it/editoriali/08_luglio_20/editoriale_robin_tax_giavazzi_41b200fc-562a-11dd-a206-00144f02aabc.shtml

    LA MANOVRA ECONOMICA
    Robin Hood alla rovescia

    di Francesco Giavazzi

    Giovedì scorso in Parlamento il ministro dell’Economia ha descritto con tinte particolarmente fosche i mesi che ci attendono. Ma quando è venuto al dunque dei provvedimenti per fronteggiare la crisi, non ha potuto citare altro che la Robin tax, un’imposta che potrebbe finire per essere pagata dai consumatori tramite aumenti di prezzi, e il cui gettito comunque sarà usato solo in piccola parte (meno del 10% quest’anno) per «togliere ai ricchi e dare ai poveri». Inoltre dal prossimo anno la nuova imposta non servirà semplicemente a rimpiazzare l’Ici: contribuirà ad aumentare la pressione fiscale complessiva che nel 2010 (dati del Dpef) tornerà al 43,2%, il massimo storico cui l’aveva lasciata il governo Prodi (più sceriffo di Nottingham che Robin Hood). Le difficoltà che ci attendono non dipendono dalla finanza e dalla speculazione ma semplicemente da un aumento straordinario del prezzo di gas, petrolio e alcuni beni agricoli. Il problema è come attenuare l’effetto di questi aumenti sul potere d’acquisto delle famiglie, in una situazione in cui da 15 anni il reddito reale medio non cresce, il che significa che una famiglia su due è oggi più povera di quanto non fosse allora.

    Nell’introdurre la Robin tax il governo ha scritto: «L’Autorità per l’energia vigilerà onde impedire che l’onere della tassa sia traslato sui prezzi al consumo». Lo strumento per impedire traslazioni sui prezzi sono la concorrenza e le autorità indipendenti che debbano farla rispettare. Nei giorni scorsi la Lega ha cercato — tramite un emendamento al decreto economico — di decapitare l’Autorità per l’energia. L’emendamento è poi stato ritirato (pare grazie a un intervento del sottosegretario Gianni Letta), ma chi si oppone alle liberalizzazioni e all’indipendenza delle Autorità rimane in agguato. Con un altro emendamento (questo ritirato per l’opposizione di An) la Lega ha cercato di rendere facoltative (anziché obbligatorie) le gare per la gestione dei servizi pubblici locali. L’opposizione della Lega a queste liberalizzazioni è storica («Giù le mani, è roba nostra»). Le ragioni dell’attacco all’Autorità per l’energia sono, temo, meno nobili: la difesa del posto che la Lega occupa da anni nel consiglio di amministrazione dell’Eni (rivelatore è l’attacco velenoso della Padania contro un corsivo di Sergio Rizzo sul Corriere della scorsa settimana). La soluzione che si prefigura per Alitalia (una maledizione dalla quale sembriamo incapaci di liberarci) è la fusione con AirOne e la ricapitalizzazione dell’azienda da parte di alcuni imprenditori italiani. Intravedo due rischi per le famiglie: innanzitutto un rischio per la concorrenza, dato che su molte rotte nazionali (ad esempio fra Roma e Catania) la nuova compagnia non avrà concorrenti e quindi potrà far pagare quello che vuole. Vigilare sarà compito dell’Antitrust, se non verrà anch’essa decapitata. Ma c’è un rischio più insidioso. Gli imprenditori cui il governo si è rivolto per salvare Alitalia hanno una caratteristica comune: come osserva Franco Debenedetti sul Sole 24 Ore sono o concessionari dello Stato o costruttori. Non sarà che per convincerli a investire in Alitalia il governo ha promesso loro qualcosa? Se così fosse le famiglie pagherebbero due volte: voli più cari e pedaggi più salati.

    20 luglio 2008

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